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UNA RECITA A QUATTRO
(LA BANDE DES QUATRE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 novembre 1990
 
di Jacques Rivette, con Bulle Ogier, Laurence Cote, Ines de Medeiros (Francia, 1988)
 

Otto anni separano anagraficamente Jacques Rivette dall'ormai settantenne Eric Rohmer. Ma i due, per avere vissuto in parallelo negli anni cinquanta-sessanta l'avventura della Nouvelle Vague e della militanza nella rivista-manifesto dei CAHIERS DU CINEMA, vengono spesso associati nella memoria cinematografica.

Eppure i due - e questo LA BANDE DES QUATRE premiato nell'89 a Berlino lo dimostra esemplarmente - sono simili ed opposti al tempo stesso. Simili perché il loro cinema è segnato indelebilmente dall'esperienza teorica passati agli ormai mitici Cahiers di quell'epoca: ed in ambedue la preoccupazione strutturale, la disciplina organizzativa che regge l'opera filmica è sempre prioritaria. Ma dissimili: poiché, col trascorrere degli anni in Rohmer (si pensi al suo recente RACCONTO DI PRIMAVERA) l'incontro con il quotidiano percepito realisticamente - quasi veristicamente nella direzione degli attori - si fa sempre più urgente, in un'emozione quasi commovente.

Il cinema di Rivette non sembra invece, per usare un termine francese, perdere il Nord: rimane quello della dissertazione, della riflessione, della contrapposizione geometrica dei momenti espressivi. Che si pensi a PARIS NOUS APPARTIENT del 1958, a CELINE ET JULIE VONT EN BATEAU del 1973 o a questo suo ultimo film, il tema (poiché non è certo il caso di parlare di "storia") è sempre il medesimo: quello del complotto. Qui, Bulle Ogier, unica superstite del periodo d'oro fra gli interpreti del film, è un'insegnante d'arte drammatica in un corso frequentato da sole ragazze (forse per quel "senso del cosmico" che, secondo il regista, è sempre appartenuto soltanto alle donne...): un misterioso individuo s'introdurrà nella casa di periferia, immersa in un parco abbandonato, dove abitano le giovani. E la professoressa, con il suo ruolo apparentemente equilibratore, sarà rimesso in questione.

Rivette è il primo a non credere particolarmente alla propria storia: poiché questo suo ennesimo complotto non gli interessa drammaturgicamente. Ma, una volta ancora, quale pretesto per riproporre quella contrapposizione tra realtà ed apparenza che i personaggi dell'insegnante e delle aspiranti attrici evidentemente gli suggeriscono. Per lui, insomma, il mistero vero è quello della creazione filmica. E della sua contrapposizione con quella teatrale. Poiché nel cinema la verità nasce dall'artificio, ma nel teatro succede il contrario: la finzione è creata a partire dal vero, dalla presenza fisica, tangibile degli elementi espressivi.

Il mistero di LA BANDE DES QUATRE è tutto racchiuso in questo gioco di rinvii tra la scena privilegiata, quella teatrale , e quella della presunta realtà quotidiana. Che Rivette iscrive con l'abilità che lo aveva reso celebre nelle sue ambientazioni parigine in inquietanti ambienti naturali. Gioco sapiente, affascinante; e premeditato.


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